dalla storia

racconti

un serbatoio per leggere racconti
e per farci stare tutte quelle parole che nell'altro non ci stanno
e per ricordare che tutto ciò che è scritto è vero ed esiste

giovedì 1 novembre 2007

A volte un dettaglio

È la storia di un uomo che vive con una donna.
L’Uomo torna a casa la sera e pensa com’è fortunato ad avere quella Donna lì, e quanto tempo è che stanno insieme, tanti anni.
Troppi, forse.
Ma ci sarebbe da chiedersi se ha senso la parola troppo, per l’amore.
In ogni modo, troppo lo dice il narratore, perché detto dal protagonista avrebbe un altro tono, di insofferenza, di stanchezza. E lui non è insofferente, né stanco.
Così sembra, almeno.
Comunque. Lui torna a casa e si guarda di sfuggita nello specchio d’entrata. Non gli piace, lo specchio, è dorato, barocco, pieno di fronzoli, e lo ha voluto lei, lui avrebbe preferito qualcosa di più semplice, senza foglioline e puttini intagliati nella pesante cornice.
Ma lei gli va benissimo, anche con lo specchio.
Lui dunque entra, guarda, e si vede, distrattamente, così: alto, scuro di capelli, solo un tocco elegante di grigio, barba ben fatta e niente baffi, perché ha una bocca forte e decisa, che quando sorride fa sorridere. Gli occhi, ora che se li guarda veloce allo specchio, sembrano un po’ stanchi, ma siamo a fine giornata, il lavoro, la metropolitana, la fine giornata, si sa.
Adesso, però, si deve decidere a entrare in sala. O in cucina. Sono soli, loro due. Lei ha voluto rimandare, per i figli. Adesso è troppo tardi.
Ma così sono più liberi. Lei può aspettarlo preparando una cena velocissima, o niente cena, se le va di seguire uno di quei programmi dove Giusy, o Melissa, o Valentina o Titty o Samantha straparlano, piangono, si strillano addosso. Le prime volte Lui tornava, passava in cucina, sentiva la Tv e gridava che quelle erano proprio sceme e rideva e chi le voleva donne così. Rideva anche Lei, ma un po’ si arrabbiava, come quando compri un vestito nuovo, te lo metti, e quando chiedi un parere ti dicono che è uno schifo, e tu pensi: ma come? Uno schifo? Se a me piace tanto.
Dopo un po’ Lei aveva cominciato a non ridere più delle sue battute, e Lui aveva rinunciato a farle, perché in fondo l’amava. E non voleva perderla.
E quella sera, comunque, Lui la trova in sala e le ricorda che devono uscire a vedere un film. Lei vuole andare all’Iris dove danno qualcosa tipo Vanzina, che saranno pure un cult ma meglio evitare. Lui vuole andare al Plaza per gustarsi in pace Spike Lee.
Ci sarebbe da chiedersi come fanno due così a stare insieme.
Ecco, forse lei è bellissima. Sarebbe meglio descriverla, con Lui che entra e la vede sdraiata sul divano. Il divano è scomodissimo, l’ha scelto Lei, e ci sta bene solo Lei. E Lui adesso si chiede se è per quello che non gli va più di guardare la televisione, perché sta troppo scomodo, si siede, si allunga, si rialza, accavalla le gambe, si stende, dammi il cuscino, si stende e così via da capo.
Ma insomma, divano o no, lei è un bel colpo d’occhio, così stesa, con una vestaglietta leggera leggera, il gomito appoggiato al bracciolo, il piedino che ciondola mentre guarda la mezza dozzina di deficienti che fanno e dicono cose assurde nella scatola luminescente là in fondo.
Mentre alza lo sguardo e fa un sorriso da qui a là, ma non raggiunge gli occhi.
Mentre sgranocchia noccioline a anacardi, seminando qui e là bucce e pellicine, che poi è un disastro e quella volta che era venuto il Gigi a trovarli si era seduto e aveva sollevato un turbine di avanzi di pistacchi.
Comunque, a farla breve, bisogna pur dirlo che lei è bella. Persino molto bella, volendo. Per lo meno, è così che lui l’ha sempre vista, finora.
Bella, simpatica, forse un po’ terra terra, ma poteva andargli peggio.Poteva andargli come con Rita, la moglie di Paolo, che dopo sei anni di matrimonio e due figli è diventata più larga che alta, è ritenzione idrica, poi passa, dice, ma non passa niente, invece. O come con Mariagrazia, che è un figurino ma si è fatta rifare tutti i denti, che ora le ballano un po’ in bocca, e quando parla di qualcuno sibila come un serpente ed è sempre arrabbiata col mondo. Sì, poteva andargli molto peggio.
Magari, si ferma a pensare, poteva andargli meglio. È un pensiero fuggevole, di quelli che assomigliano ai sogni: quando ti ci fermi a ragionarci su non riesci più a ricordarli. Si vede che non era importante.
Su questo rimugina mentre, la saluta e dice:
“Ma… non dovevamo andare al cinema?”, che è una domanda diplomatica, non è proprio un rimprovero e spinge lei ad alzarsi e a prepararsi. Sempre meglio che rinchiudersi soli, uno di qua a leggere “La porta del sole”, una di là a guardarsi “Porta a porta” e quel tizio baffuto che ti spiega i sensi di colpa.
Lui si chiama Fabio, e gli diamo un nome perché sono i nomi che creano le cose, e forse anche le persone, e siamo quasi alla fine della storia e ancora non sappiamo chi sia, quest’uomo. È Fabio, dunque, e la ama moltissimo, ma a volte non la capisce.
Però in quel momento non importa: Lei, che si chiama Giulia, si alza e dice sì, che dovevano andarci, al cinema. E si prepara subito. E si fa trascinare al film di Spike Lee, e si diverte pure, segno che non tutto è perduto e che una redenzione è disponibile per chiunque voglia cogliere l’occasione.
Quando escono, si spostano al bar che rimane aperto fino a tardi e offre, dice la pubblicità, ottimi panini e gustose insalate. Si siedono e cominciano a parlare del film. Lei ammette di essersi divertita. Abbastanza, dice. Fine della conversazione.
Lui pensa che non hanno visto un film impossibile, che lei è stata sveglia tutto il tempo, proprio non c’è niente da dire? Non insiste, ché tanto ci pensa il cameriere a riempire il vuoto, poggiando davanti a loro quello che hanno ordinato: panino per lui, insalata per lei, che vuole “raggiungere il completo riequilibrio psico-fisico attraverso un’alimentazione a base di crudité e prodotti biologici.”
Masticano in silenzio per tutto il tempo necessario, e poi chiedono un caffè.
Nell’attesa, Fabio cerca qualcosa da dire sull’arredamento del locale. Dà un’occhiata circolare. Poi torna a guardare Giulia.
Ed è lì, in quel momento.
Ore zero e quaranta del sabato.
Bar Paninoteca Spaghetteria.
Tavolo d’angolo, tovaglia a quadretti bianchi e rossi.
Il posto di fronte a Fabio.
Giulia, tranquilla, scava tra i denti con l’unghia del mignolo. Le crudité hanno lasciato il segno. Un brandello minuscolo di spinacio (crudo) o di basilico, o di prezzemolo, ha deciso di attendere lì. Giulia lo sente, controlla nello specchietto, e provvede. Scava e gratta, lo guarda, tenta pure di sorridere.
E Fabio crolla.
Crolla su un particolare stupido, sì.
E la lascia. Giulia non lo sa ancora, ma è già deciso. Tra un minuto Fabio si alzerà, se ne andrà, ha qualche giorno di ferie arretrato, si cercherà un altro appartamento. Tutto a posto.
Tra un minuto.
La guarda ancora, pensa all’addio e vede la sua vita futura: da solo, qualche avventura ogni tanto. Niente crudité, niente specchio, nessuno che lo aspetta a casa. Il suo amico Paolo gli farà vedere le foto dei nipotini; lo inviteranno a cena se saranno dispari; vedrà tutti i film che vuole, Kurosawa, Antonioni, Zeng Zhuangxiang e tutto tutto Fellini.
Magari piangerà, qualche volta. Ma non importa.
Ha amato tanto Giulia, così tanto che il suo bene per lei ha sempre coperto tutto. Sempre. Tutte le cose importanti.
Adesso, non gli rimane più niente per i dettagli.
E a volte un dettaglio può uccidere una poesia.
Figuriamoci un amore.

5 commenti:

milvia ha detto...

Bellissimo, Annalisa. E come è vero...
La classica goccia che fa traboccare il vaso, che neppure sapeva di essere già pieno fino all'orlo. Pur essendo scritto in maniera sobria, apparentamente distaccata, lascia un grande amaro in bocca. Che è giusto, sentirlo.
Ciao, buon fine settimana.
Milvia

Anonimo ha detto...

Grazie :-)
(e nonostante tutto, mi è piaciuto scriverlo)
Buona domenica anche a te

Annalisa

cristina bove ha detto...

Mi è piaciuto moltissimo, per come è scritto e per la realtà della situazione.
a volte la goccia fa traboccare un vaso che non si sa bene come abbia fatto a contenere ancora.
Il treno ha fischiato...
e tutta l'incomunicabilità viene lasciata alla stazione come un bagaglio di cui disfarsi.
cri

Anonimo ha detto...

Grazie anche a te :-)
(sì, è proprio vero che succede così, e a volte è terribile, no?)

Anonimo ha detto...

lascio il mio commento con un solo anno di ritardo, cara Annalisa,ma ogni cosa arriva quando è il suo momento. E mia ha lasciata li',senza fiato e senza forze, come una medusa..e non è il caldo.
A prestissimo Sonia