dalla storia

racconti

un serbatoio per leggere racconti
e per farci stare tutte quelle parole che nell'altro non ci stanno
e per ricordare che tutto ciò che è scritto è vero ed esiste

mercoledì 31 ottobre 2007

A che pro?

Mi è venuto in mente quando ero bambino, che mi mettevo sulle mattonelle calde del balcone di cucina, gambe larghe, palmi a cuocere appoggiati a terra, la testa che toccava il muro, coi granuli puntuti che mi raschiavano il cranio rasato. Si era d’estate, e mia mamma non andava per il sottile. Badava all’utile, lei, e all’economia di tempo: nessuna voglia di lavarmi e pettinarmi, e i miei boccoli dorati non servivano a nulla, d’estate. Via tutti.
Papà non interveniva: son cose da donne, diceva, e si stravaccava sul divano, sbattuto da una giornata di lavoro che lo portava a correre su è giù per la provincia. Rappresentante di medicinali, passava le ore migliori della sua vita seduto ad aspettare che toccasse a lui magnificare le doti dell’ultimo decongestionante nasale o dell’eparina a basso peso molecolare, notoriamente migliore di farmaci tradizionali come l’eparina non frazionata.
Che poi, diceva sempre, a parer mio è meglio lasciar fare alla natura, perché chi ci dice che guai combiniamo a voler lavorare a tutti i costi per curare questo e quello? Guarisce la malattia, ripeteva, e uccide il malato, una volta o l’altra. A cosa servono tutte ‘ste medicine?, diceva anche, e buttava all’aria il campionario e mi fissava. A guadagnare qualche ora in più di vita, toh, e che vita, eh? Che vita? A parer mio, una vita di merda.
Una volta, avrò avuto dieci, undic’anni, mi era scappato di chiedergli perché, allora, non cambiava lavoro. Lui mi aveva guardato sorpreso e aveva risposto: “A che pro?”, e aveva continuato a girare con la sua valigetta e le nuove confezioni di Natalizumab.
La mamma non diceva niente, mi rasava i capelli e poi andava dalla parrucchiera. Per lei, niente utile e niente economie: taglio, piega, manicure, ogni settimana.
Anche lì, non è che ci capissi molto, di queste messinpiega, perché tanto non usciva mai.
Il sabato il papà ronfava fino a tardi, e poi si metteva a leggere il giornale o a guardare la Tv, e la sera alle nove era già bell’e che andato. La domenica facevano un giro al pomeriggio, portavano a casa due pasticcini e poi bisognava non far tardi, per via del lunedì e del lavoro e della scuola che arrivava.
Stavo lì a pensare a queste cose, quando mi sedevo al caldo sul balcone. E vedevo intanto alla finestra la signora Gina, che abitava di fronte e mi allungava qualche lira, se le andavo a prendere il latte. O alla nonna, che si lamentava del mal di gambe e voleva le andassi a prendere il giornale all’edicola. O alla mamma, che mi chiamava a preparare la tavola perché anche se sei un maschio ci sei solo tu devi aiutarmi. Pensavo, lì al sole che se ne andava, e stavo fermo, il più fermo possibile. Era questo il bello: avere delle cose da fare e non farle. La Gina aspettava per niente, la nonna leggeva il giornale vecchio, la mamma sbuffava e preparava lei.
Mi piaceva vedere la mamma lavorare in casa: raccogliere le macchinine e cercare le calze sporche sotto il letto; raddrizzare i libri di scuola, le orecchie ai quaderni, la piramide di magliette che rischiava di crollare. Stavo seduto sul letto a guardarla.

Ecco, sono le prime cose che mi sono venute in mente.
Poi mi son visto alle superiori. Mia madre tornava dalle udienze con la frase preferita dei professori quando non sanno cosa dire o non vogliono deludere i genitori che hanno un figlio zuccone: è intelligente ma non si impegna. Però per me era vero. Lo sapevo. Credo, anzi, son sicuro che abbiano anche tentato di farmi ragionare, ma perché, cosa farai nella vita, noi non ci saremo sempre, guarda Luca come è bravo, lo faccio per te. Poi si sono arresi. I professori e mia madre. Era più semplice. Portavo a casa i miei sei, sei e mezzo, ero promosso, andavo avanti, a che pro sudare di più?
Dopo la maturità ho trovato subito lavoro. Allora i ragionieri andavano a ruba, c’erano mica tutti ‘sti computer a toglierci il lavoro e uno poteva farsi le sue comode otto ore senza strapazzarsi.
Sì, lo ammetto, non mi interessava molto, e ho cambiato sette uffici in quattro anni, credevo di trovare di meglio, ma poi sono capitato in banca, tredicesima, quattordicesima, premio produzione, colleghi che non rompevano, mi ci son fermato.
Papà è morto, imbottito di farmaci a base di celecoxib prima e meloxicam dopo: gli antinfiammatori hanno funzionato, ma ha ceduto il miocardio. Effetto collaterale: infarto e amen.
Mamma me la sono portata dietro, anche da sposato, ché tanto a Sandra mica importava avere la suocera per casa. Alla Sandra importavano solo le amiche, le cambiava quasi più delle mutande, mai capito perché. Maria era la sua migliore amica di lunedì, e giovedì era diventata una cretina. Giulia girava per casa per una settimana, mattina e sera, che se fossi stato diverso me la sarei anche fatta, ho capito che le piacevo, ma a che pro?, e dopo otto giorni sparita anche lei.
E i lavori, a lei anche i lavori non andavano mai bene, peggio di me, e al momento della sua pensione fare la ricostruzione della carriera è stata un’impresa. Solo una cosa non le è riuscita, alla Sandra: di farmi cambiare ancora casa. Al secondo trasloco ho detto stop, finish, basta. Cambiare aria va bene, ma stava diventando una gran rottura di coglioni. Ogni casa che vedeva secondo lei era meglio di quella dove stavamo. Ma io non mi sono fatto convincere. E lei si è dovuta rassegnare.
Invece coi maglioni ho dovuto cedere io: c’aveva la mania di lavorare ai ferri. Cioè, prima il punto croce, poi l’uncinetto, poi la maglia: abbiamo la casa invasa dai centrini, centroni, e maglie di lana, gilet, golf. Ce ne fosse uno finito. Prima mi sono lamentato, poi ho imparato a star zitto, che se lavorava ai ferri stava zitta anche lei, e quando trovavo una mezza maglia la portavo in cantina e amen.
Figli, non ne sono venuti, grazie al cielo. Quando vedevo i miei colleghi con i carichi di pannoloni fuori dal supermercato tiravo un respiro di sollievo: tanti denari e tanta merda risparmiati. Per non parlare delle preoccupazioni: i maschi, si sa, si drogano; le femmine c’è il rischio di ritrovarsele gravide da un giorno con l’altro.
Invece, noi, niente, bei tranquilli, che la mamma se n’è andata in fretta e il suo Alzheimer non ci ha dato troppo fastidio. Ipolemizzanti, statine, memantina, me le davano alcuni vecchi clienti di papà, l’han tenuta tranquilla e un bel giorno ha tolto il disturbo.
Sono andato in pensione appena ho potuto, ero stufo del sudore della fronte e di tutte quelle balle lì. Ho gettato la sveglia nel bidone e mi sono goduto il divano e la Tv, che adesso la fanno anche al mattino così c’hai sempre qualcosa da guardare: a me piace vedere il tempo, alle sette, anche se sono in casa mi regolo, e poi c’è Flipper, che lo guardavo da ragazzo, e poi il Maurizio Show, e vai che vai bene.
La Sandra, no, poverina, quando è andata in pensione è diventata matta, mi girava in casa come una trottola, parrucchiere peggio di mia madre, tre volte la settimana, poi voleva la casa al mare che con i soldi, sì, ci saremmo anche stati, ma poi chi ci andava là ogni volta, chi ce la portava? Io no di certo, che guidare non mi è mai piaciuto, figurati se mi ci mettevo alla mia età. Allora ha cominciato con le missioni e la parrocchia, e poi con il Postalmarket, che manco sapevo esistesse ancora, e i viaggi organizzati, che alla terza batteria di pentole che s’è portata a casa quasi quasi gliel’avrei messa in quel posto. Però c’ha pensato lei, poveretta, a morirmi prima di mandarmi in rovina, e a lasciarmi un po’ tranquillo.
Tranquillo per modo di dire, ché le prime volte tutto il suo giro di amiche eran diventate premurose e hai bisogno e le torte e ti lavo le camicie e via discorrendo. Ma figurati se mi rimettevo in pista con quelle, che una mi era bastata e avanzata.
Poi, vabbè, si sa, gli anni aumentano, qualche pensiero ti viene.
La casa vuota, neanche una foto, vien buio presto adesso la sera, fa freddo.
Qualche pensiero ti viene.
Io però dico che è inutile agitarsi troppo.
Anche adesso, che son scivolato in questo cazzo di canale, magari se mi muovessi un po’ ce la faccio a tirarmi su. Magari se grido qualcuno mi sente. Magari mi tirerebbero fuori da tutta ‘st’acqua fredda che nemmeno mi sento più le braccia, e mi direbbero che sono un vecchio deficiente a esserci caduto e mi porterebbero in ospedale e, anche se mi son rivisto tutta la mia vita come dicono nei film, domani sono ancora in pista. Magari, già.
Ma a che pro?